All’origine della rivoluzione del Maggio di Buti stanno un poeta ed un teatro. Pietro Frediani (1775-1857) fu poeta popolare rispettato anche da signori e letterati, una vera gloria locale. Autore di una cinquantina di Maggi, è considerato il riformatore del genere. Nel repertorio dei maggianti Butesi vi sono tuttora sue opere. In particolare, una Medea che nel 1972, riveduta e riadattata, venne prima filmata da Paolo Benvenuti e poi proposta al Festival del Teatro Popolare di Nancy l’anno seguente, dove riscosse un grandissimo successo. Proprio la Medea funzionò da catalizzatore e permise il rinvigorirsi di una tradizione che, attivissima fino agli anni ’50, si stava ormai spegnendo. I Maggi di Frediani non lasciano spazio ad interventi puramente spettacolari. Non vi è luogo per moresche o intermezzi comici. Il tono è sempre elevato, la descrizione psicologica dei personaggi approfondita. Sono drammi a tutto tondo, edificanti o didattici, che a seconda dell’argomento o dell’azione scenica, passano dal tragico all’elegiaco, dimostrando nell’autore una grande padronanza del mezzo espressivo e della penna. Nele parole dei concittadini di oggi, Pietro Frediani è un personaggio colorito, saggio, perché modesto ma conscio del proprio valore, capace di rimettere a posto con una battuta fulminante qualsiasi cittadino che avesse imprudentemente sorriso delle sue scarpe grosse o del suo parapioggia portato a tracolla. A lui viene attribuito un vero codice del Maggio, non scritto ma enunciato e tramandato oralmente. Un codice che giustifica l’eliminazione dell’accompagnamento strumentale e delle danze, con la preoccupazione di mantenere viva la tensione drammatica della rappresentazione e di non avvilirne il contenuto. I Maggi di Frediani sono opere che necessitano di una scena frontale “all’italiana”, non sono concepiti per la rappresentazione circolare. In loro non vi è più nulla di rituale e di simbolico. Sono una forma di teatro moderno, elaborata secondo i modi della tradizione popolare. In realtà, buona parte della “riforma” si deve al caporhaggio Angiolo Bernardini che sullo scorcio del XIX secolo, riprese, ridusse e adattò i testi del Frediani. Al cambiamento non fu estraneo il teatro dell’Accademia dei Riuniti”, fondato dalle famiglie facoltose di Buti nel 1842. La struttura, che oggi si chiama “Teatro Francesco di Bartolo” ed è proprietà dell’Amministrazione Comunale, è un gioiello architettonico.
Drammi, opere liriche, operette, divennero fruibili da tutta la comunità ed ebbero un influenza enorme sul Maggio, favorendone la trasformazione in una forma alternativa di teatro musicale classico. Non riconosciuto però, e costretto alla marginalità ben dentro il XX secolo, perché era assolutamente impensabile, per le famiglie che gestivano l’Accademia, che un dramma contadino, ancorché di argomento elevato, penetrasse nel “sacro recinto” del belcanto e della cultura letteraria. Tuttavia il Maggio visse una prossimità con la scena dei maggiorenti. Le rappresentazioni, già alla fine dell’Ottocento, si svolgevano in un luogo chiuso, con un palcoscenico attrezzato, anche se molto semplicemente. I costumi non erano prodotti con materiali di recupero, come accade tuttora in altre località, ma erano veri costumi teatrali, affittati per l’occasione. Tuttavia, il Maggio di Buti non perse mai una delle caratteristiche sostanziali del genere, ovvero la totale mancanza di storicizzazione. Così come accadeva nel teatro rinascimentale o barocco, nel Maggio costumi e decoro scenico sono totalmente avulsi dall’epoca della narrazione. Nell’iconografia del XVI o del XVII secolo i cavalieri assedianti Gerusalemme e gli eroi del mito erano vestiti allo stesso modo, differenziati solo da particolari minimi, la foggia di un elmo “alla romana” per Enea, uno scudo crociato per Tancredi. Nel Maggio è sempre così e Buti non fa eccezione! La Compagnia possiede un cospicuo patrimonio di bei costumi teatrali, tutti generalmente riconducibili ad un medioevo generico, come quello proprio alle mille feste storiche di cui la Toscana è costellata; Medea veste gli stessi abiti della Pia dei Tólomei.