Storia
L’eccidio di Piavola è una strage nazista avvenuta in Piavola domenica 23 luglio 1944 quando tre gruppi di soldati tedeschi irruppero nei boschi e uccisero, senza motivo apparente, 18 uomini: il più giovane aveva solo 16 anni, il più anziano 62. La mattina del 19 luglio 1944 Ario Ciampi, uno sfollato butese che si era rifugiato in Pian Bello, e Giulio Filippi videro giungere due giovani militari austriaci in uniforme tedesca dal sentiero che saliva da Ruota: in qualche modo, con una pistola puntata verso di loro, Ario riuscì a disarmarli. Non sapendo cosa farne li portò dai partigiani.
In quel periodo la maggior parte dei fascisti aveva deciso di allontanarsi da Buti per seguire gli appelli di gerarchi che non riuscivano più a controllare il territorio. Le versioni sul motivo della presenza dei due soldati sul monte sono tutt’ora differenti: in paese c’è chi sostiene che stessero facendo rilevamenti di strade, chi afferma che fossero disertori, chi ritiene che fossero stati mandati a riparare una linea telefonica.
Nel dopoguerra Ario Ciampi affermò di averli arrestati perché la loro presenza avrebbe comunque rappresentato un pericolo per la popolazione; avrebbe poi deciso di consegnarli ai partigiani che a loro volta avrebbero dovuto affidarli agli Alleati. Ario consegnò quindi i due soldati alla Banda di Carlino, riunitasi in un casotto in mezzo ai boschi. Il comandante della banda (Carlo Pelosini) propose di portare i prigionieri a Calci dove operava il gruppo di partigiani del monte Faeta, più numeroso e meglio organizzato di loro. Tuttavia le condizioni dei partigiani del Faeta non erano diverse da quelle del gruppo butese, pertanto i prigionieri e i loro accompagnatori tornarono sui monti butesi.
Per i partigiani l’unica soluzione fattibile era quella che consisteva nell’uccisione dei due soldati e nella successiva sparizione dei cadaveri: prima di arrivare al rifugio i soldati austriaci vennero uccisi con due colpi alle spalle per mano di Risorgi e i cadaveri furono lasciati sul sentiero dentro un prunaio. Tuttavia dal registro dei morti del Comune di Buti dell’anno 1946 risultano cinque i soldati appartenenti all’esercito tedesco trovati morti nel 1944 sui monti.
Quando in paese si sparse la voce dell’uccisione dei soldati il terrore si diffuse tra la popolazione e anche tra il gruppo dei partigiani che iniziò a spostarsi verso il monte Faeta per unirsi al gruppo di partigiani di quella zona. Era l’alba di domenica 23 luglio quando tre squadre di soldati della Wehrmacht partirono, secondo diverse testimonianze, da tre punti diversi: una squadra saliva da Calci, un’altra da località Rotone di Castelvecchio di Compito e un’altra da Ruota verso Pian Bello, località vicina alla cima del monte Serra e prossima ai luoghi dove si trovavano gli uomini della Banda di Carlino. Le tre squadre facevano riferimento alla 65ª Divisione di Fanteria a cui era assegnato il territorio sud-orientale dei Monti Pisani. La 65° Infanterie-Division era conosciuta in Toscana anche come Divisione “Handgranate”, dal simbolo tattico che raffigurava una bomba a mano dipinta sugli automezzi. In Buti paese si sparse la voce che cercavano gli uomini che avevano ucciso i loro commilitoni; in molti li videro marciare per le strade di Buti non con la tuta mimetica ma con le uniformi ufficiali.
Vennero appesi alle finestre i lenzuoli per avvisare i partigiani e iniziò un passa parola di allerta in cui ebbero un ruolo fondamentale le donne del paese: due di loro furono bloccate da una pattuglia tedesca che chiese loro dove si trovava l’Aspro(una delle zone scelte come base dalla Banda di Carlino). Iolanda Bernardini, una delle due donne, indicò a caso verso il monte. Mentre i tedeschi si incamminarono per una via sbagliata, lei corse ad avvisare le persone nascoste nei casotti più vicini. Intanto uno dei tre gruppi di militari raggiunse Volpaia, la località dove si trovava il casolare di Pietro Barzacchini, all’interno del quale vivevano numerosi sfollati. Barzacchini fu catturato e usato come guida, ma anche lui non li guidò verso l’Aspro, bensì nella direzione opposta, verso il monte di Piavola. In Piavola vi era una numerosa presenza di sfollati dai paesi limitrofi, in particolare provenienti dalla frazione di Cascine, perché ritenevano che quella fosse una zona abbastanza sicura in quanto vi passavano solo i tedeschi diretti all’osservatorio. In località Cima alla Serra la squadra tedesca incontrò due giovani: Oliano Pratali (sedici anni) e Renato Polidori (quattordici anni) che venivano da Cascine di Buti per portare da mangiare ai familiari. I due ragazzi cercarono di spiegare ai soldati (non parlavano italiano) che non erano partigiani; solo allora i tedeschi cominciarono a comprendere che avevano preso la strada sbagliata, ritenendo Barzacchini responsabile di quel depistaggio per nascondere la presenza di partigiani. Ci fu un momento di confusione e Renato Polidori riuscì a fuggire. I soldati preferirono non seguire il ragazzo ma continuare il sentiero insieme ai due prigionieri, Oliano Pratali e Pietro Barzacchini, che furono massacrati lungo l’erta che precede la spianata di Piavola.
Secondo le testimonianze di chi riuscì a fuggire, dopo queste prime uccisioni i militari tedeschi si mossero rapidamente, minacciando tutti coloro che incontravano sulla loro strada, sparando in aria raffiche di mitraglia e gridando più volte la parola ‘partigiani’. Dalle dieci e trenta, per circa un’ora e mezzo, in Piavola vennero massacrati uomini indifesi di età compresa tra i sedici e i sessanta anni. In tutto diciotto uomini, per lo più contadini, nessuno dei quali armati. Dopo diverse ore trascorse in Piavola i Tedeschi tornarono indietro verso la strada che li avrebbe riportati a Ruota e a Calci. In una informativa giornaliera contenuta nel Diario storico della 14ª Armata tedesca, al punto 5) Situazione partigiana si legge che “durante l’operazione anti-partigiana del 23 luglio nella zona montagnosa Monte Faeta/Monte Serra (a nord-ovest e nord-est di Calci) sono stati uccisi in combattimento 47 banditi. Sono stati condotti alla nostra base 26 prigionieri. Bottino: 1 fucile da caccia, 4 pistole mitragliatrici, 12.300 cartucce, 35 ordigni esplosivi (distrutti), 3 contenitori a forma di scatola distrutti.” Tutte le deposizioni dei partigiani smentiscono la presenza di spie tra le truppe tedesche.
Commemorazioni
L’anno successivo alla strage, il 24 luglio, venne organizzata una commemorazione sul luogo dell’eccidio dove fu celebrata una Messa di suffragio per i 19 innocenti trucidati dai tedeschi il 23-7-1944. Presenti anche le Autorità del Paese, le rappresentanze, con bandiera, di tutti i partiti e molta gente salita anche da Cascine, da Bientina, da Calcinaia, Vicopisano, Rota, Pontedera. In seguito a questa commemorazione, fino agli anni sessanta, l’eccidio non ha avuto altre commemorazioni.
Ogni anno, il 23 luglio, veniva celebrata solo una messa in suffragio degli uccisi. Nel 1965 si commemorò pubblicamente l’eccidio nella consapevolezza che il «sacrificio dei martiri di Piavola è vivo e presente nei nostri cuori e nelle nostre menti».
Nel 1971 ripresero le commemorazioni ufficiali. Il sindaco Lelio Baroni, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile, invitò gli intervenuti a non dimenticare «tutti i caduti e in particolare i trucidati in Piavola da parte delle forze nazifasciste». Il 25 luglio 1994, cinquant’anni dopo la strage, la spianata di Piavola era piena di gente. Oltre ai sindaci dei paesi dei monti Pisani erano presenti anche la senatrice Maria Eletta Martini, partigiana, il segretario provinciale dell’ANPI e i rappresentanti delle associazioni butesi. Nel 2004, in occasione dei sessanta anni dall’eccidio, la commemorazione si svolse in Piavola dove ci fu un forte afflusso di popolazione, tra cui molti giovani.
Attualmente, ogni anno il 23 Luglio, sulla spianata di Piavola si svolge una commemorazione organizzata dall’Amministrazione comunale di Buti.